Foto della rotta dell'argine Panaro nel modenese

Alluvione del fiume Panaro nel modenese: cause e soluzioni di un problema ricorrente

Vorrei iniziare questa nuova sezione blog del sito, parlando di un argomento che ciclicamente si ripresenta tutte le volte che si verificano piogge particolarmente intense e prolungate nel tempo, come è successo recentemente per l’alluvione del fiume Panaro nel modenese.

Una sfortunata concausa di eventi metereologici

Domenica 6 dicembre 2020 l’argine destro del Panaro, tra Gaggio e Nonantola, non ha retto l’eccezionale onda di piena, causata della grande quantità di acqua generatasi dalle abbondanti piogge dei giorni precedenti, associato allo scioglimento della neve caduta giorni prima in montagna, provocando allagamenti ed ingenti danni.

Per dare un’idea dell’eccezionalità dell’evento basti ricordare che l’onda di piena, nella notte tra il 5 e 6 dicembre, ha raggiunto un flusso di quantità d’acqua paragonabile ai 2/3 di quella media del fiume Po alla foce. In questa situazione, la cassa d’espansione del Panaro, utilizzata al massimo della sua potenzialità, ha invasato fino a 17 milioni di metri cubi d’acqua, con un livello raggiunto di 11,07 metri: il massimo mai conseguito!

La conta dei danni

Grazie al repentino intervento di squadre di Protezione Civile, AIPO e Consorzio della Bonifica Burana la breccia dell’argine del Panaro è stata chiusa in 24 ore dall’esondazione del fiume mettendo, così, in sicurezza le campagne nei pressi di Nonantola ed i centri abitati prospicenti. Si è stimato che siano stati allagati 4’000 ettari di campagna e che siano state coinvolte circa 200 aziende agricole.

La problematica più urgente è stata quella di trasferire il grande volume d’acqua fuoriuscito dal fiume (reticolo principale) al reticolo di Bonifica (reticolo secondario di pianura) che ha fatto fatica a drenare l’eccedenza di acqua. E’ come se tutto ciò che è sfuggito dal reticolo principale sia, a cascata, passato nelle mani di un reticolo subalterno, secondario ma non di importanza.

Generalmente la nostra percezione del pericolo si concentra prevalentemente sulle grandi alluvioni che, sempre più frequentemente, affliggono il reticolo principale di pianura. Probabilmente, come è successo per la rotta dell’Enza nel 2017, faremo fatica a dimenticarci dell’alluvione appena accaduta focalizzando l’attenzione prevalentemente sull’evento della rotta dell’argine.

Una visone più ampia del problema

Il focus dovrebbe concentrarsi, però, su una visione più ampia del problema; la rottura di un argine è l’effetto più evidente di una moltitudine di concause che hanno portato al collasso della sponda. E’ noto a tutti che tra le conseguenze del cambiamento climatico in corso spicchi, tra tutti, quello del mutamento del regime delle piogge. A causa di ciò sarà necessario adeguare il nostro modo di costruire a quegli eventi meteorici particolarmente intensi che stanno diventando sempre di più…meno eccezionali.

repliche orologi

Possibili soluzioni da subito attuabili

Esistono alcune tipologie di interventi che, a mio avviso, sarebbero utili a diminuire la probabilità che possano accadere eventi come quello sopra citato.

  • Promozione dell’invarianza idraulica
    Il principio dell’invarianza idraulica si basa sull’adozione di sistemi idraulici (vasche di laminazione in primis) che possono consentire, a delle urbanizzazioni in progetto, di scaricare le future acque pluviali con portate simili a quelle che solitamente si generano su spazi “a verde”.

    A partire specialmente dal secondo dopoguerra l’impermeabilizzazione del suolo, causata dall’edificazione e cementificazione intensiva, ha comportato la notevole diminuzione della capacità filtrante del terreno favorendo, così, lo scorrimento superficiale della pioggia in direzione del primo corpo idrico superficiale (fosso, rio, fiume, ecc..).
    Ad esempio: si può affermare che da un suolo impermeabilizzato si possa generare un deflusso superficiale d’acqua piovana maggiore (anche di oltre 4 o 5 volte) rispetto alla stessa superficie a prato.

    In Emilia Romagna è stata promulgata la D.G.R. n° 1300 del 1 agosto 2016 che prescrive che, nelle aree urbanizzabili/urbanizzate, la documentazione tecnica di supporto ai Piani operativi/attuativi debba comprendere uno studio idraulico. Questo deve essere adeguato a definire i limiti e gli accorgimenti da assumere per rendere l’intervento compatibile con le criticità idrauliche rilevate in sito. Inoltre nell’ambito dei procedimenti inerenti richiesta/rilascio di permesso di costruire, e/o segnalazione certificata di inizio attività devono, essere utilizzati degli specifici interventi per la mitigazione del rischio e devono essere realizzate delle opere che consentano di rendere l’intervento compatibile con la capacità del corso d’acqua ricevente.
Manufatto di collegamento di una vasca di laminazione
Manufatto di collegamento tra una cassa di laminazione e rete drenaggio acque meteoriche.
  • Cura dei bacini idrografici dal monte alla fascia pedecollinare
    Il passaggio tra la collina e la pianura, di solito, coincide con una “discontinuità” dell’asta fluviale. Questo fenomeno idrodinamico può portare spesso a dei preoccupanti risalti capaci di generare delle criticità durante eventi di piena di significativa intensità. Specialmente lungo la fascia pedecollinare gli alvei dei rii e corsi d’acqua dovrebbero essere lasciati il più possibile allo stato naturale e soprattutto privi di tombinature.
  • La montagna è il primo baluardo della difesa idraulica della pianura
    Se le superfici impermeabili di fabbricati ed aree asfaltate possono inevitabilmente velocizzare più gravose portate d’acqua di ruscellamento, al contrario, le superfici forestate riducono l’aliquota di pioggia che non si infiltra nel terreno e fungono da naturale freno allo scorrere dell’acqua. Gli alberi e gli arbusti,ad esempio, creano un ostacolo al ruscellamento superficiale dell’acqua di pioggiaaumentando il tempo che le acque impiegano per raggiungere il corso d’acqua recettore.
    La corretta manutenzione dei boschi e, parallelamente, l’adozione di pratiche agricole rispettose del suolo, possono concretamente contribuire a rallentare i deflussi d’acqua in zone dove il rischio è basso. Si andrebbe così andando a limitare il rischio a valle, cioè in pianura, dove a causa della maggiore densità di fabbricati e di popolazione il rischio è decisamente maggiore.
  • Incrementare i volumi dei corsi d’acqua nella fascia di pianura
    Specialmente a causa della notevole densità di fabbricati, difficilmente in pianura si potranno realizzare nuove casse d’espansione lungo i corsi d’acqua più critici. Spesso, inoltre, le casse d’espansione esistenti sono insufficienti per contenere portate di piena con tempi di ritorno anche relativamente bassi.
    Anche in questo caso è utile il concetto del “trattenere e rilasciare con tempi maggiori” i volumi d’acqua di piena. Dare spazio ai canali ed ai principali collettori di bonifica è utile per guadagnare quello spazio necessario ad aumentare la capacità d’invaso di un singolo comprensorio o di un intero bacino scolante.
    La scelta, a mio avviso, ideale sarebbe quella di accompagnare il miglioramento della funzionalità idraulica ad un intervento di rinaturalizzazione dell’alveo stesso, in modo da incrementare la capacità auto depurativa del corso d’acqua e facilitare lo sviluppo di habitat.
Frana di un argine causata da nutrie
Danno alla sponda di un canale causato anche dalle nutrie.
  • Eradicamento di alcune specie invasive fossorie
    E’ di fondamentale importanza avviare dei programmi di messa in sicurezza idraulica capaci di svolgere un’attività di prevenzione dei danni causati da mammiferi con abitudini fossorie. Lungo le arginature di gran parte dei corsi d’acqua di pianura, naturali e non, capita spesso di imbattersi in frane provocate dalle nutrie; questi mammiferi sono capaci di creare pericolosi tunnel negli argini e di ricavare dentro di essi le proprie tane mettendo a forte rischio la stabilità del terrapieno.
    Oltre alla nutria (Myocastorcoypus) ci sono altre specie alloctone capaci di creare danni alle infrastrutture idrauliche: parlo del gambero della Louisiana (Procambarusclarkiie) e della cozza d’acqua dolce (Anodonta). A tal proposito sarebbe utile svolgere le attività di sfalcio delle arginature contemporaneamente a dai puntuali monitoraggi a cui fare seguito a degli patek philippe replica immediati interventi di chiusura di eventuali tane.

Per approfondimenti consiglio la lettura di questi articoli sul sito del Consorzio di Bonifica Burana.

Considerazioni personali

Il problema delle alluvioni in Emilia-Romagna potrebbe essere contenuto con interventi che non richiedono grandi infrastrutture e sarebbero facilmente affrontabili da parte degli enti gestori. Per rendere questi interventi attuabili, in tempi ragionevoli, l’iter burocratico dovrebbe risultare meno complesso con il vantaggio di poterli rendere più incisivi rispetto alle situazioni attuali di criticità.

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